Nota di ricerca a cura di Nicola Maggini con la collaborazione di Andrea Pedrazzani
I sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani durante la pandemia da COVID-19 hanno sinora evidenziato due principali aspetti. Da una parte si è sottolineata una relativa stabilità degli orientamenti elettorali durante la prima fase della pandemia. Dall’altra parte è emersa una certa fluidità nell’area di centrodestra, con una flessione della Lega di Matteo Salvini e la crescita di Fratelli d’Italia (FdI) di Giorgia Meloni, in particolare dopo la caduta del governo Conte II.
La nascita del governo Draghi ha infatti comportato la divisione nel centrodestra tra chi è rimasto all’opposizione (il partito della Meloni) e chi è entrato nell’esecutivo di unità nazionale (Lega e Forza Italia).
Anche nel campo del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle (M5s) si sono verificati diversi eventi rilevanti: il cambio di leadership nel Partito democratico (Pd) con le dimissioni di Nicola Zingaretti e l’elezione a segretario di Enrico Letta; il travaglio interno al M5s dopo la caduta del governo Conte II, la rottura con la Casaleggio Associati e l’addio al Movimento della componente ostile al governo Draghi (Alessandro Di Battista in primis); e infine la leadership del Movimento affidata proprio a Giuseppe Conte.
Tutti questi sommovimenti hanno portato gli stessi leader – oltreché i commentatori – a pensare a quale scenario politico si stia delineando in vista della fine della legislatura, ipotizzando federazioni o partiti unici nel centrodestra e alleanze più o meno strategiche tra Pd e M5s.
Riguardo a quest’ultimo aspetto, alcune analisi riprese e rilanciate recentemente dai media, in particolare da un articolo apparso su La Stampa,[1] hanno mostrato la non sovrapponibilità degli elettorati di Pd e M5s, dando adito anche a diverse suggestioni in tema di alleanze e leggi elettorali.
Ma in quale misura queste ipotesi di alleanze, federazioni o addirittura fusioni, hanno riscontro nella realtà dei dati sulle opinioni degli elettori? Fino a che punto le strategie dei partiti sono coerenti con la propensione che gli italiani hanno a votare per le varie forze politiche?
I dati raccolti nell’ambito della ricerca ResPOnsE COVID-19 del Laboratorio spsTREND “Hans Schadee” dell’Università degli Studi di Milano permettono di fornire una prima risposta. Sulla base di questi dati è infatti stato appena pubblicato un e-book collettaneo dal titolo “Gli italiani e la politica durante la pandemia: opinioni, atteggiamenti e preferenze elettorali” (a cura di Nicola Maggini e Andrea Pedrazzani, Fondazione Feltrinelli), da cui è stata tratta questa nota di ricerca con un focus specifico sulla configurazione dello spazio della competizione elettorale tra i principali partiti italiani.
Potenziale elettorale dei partiti e disponibilità a votare per più di un partito
Per avere un’idea più chiara del bacino elettorale potenziale dei diversi partiti è opportuno analizzare la propensione al voto per un partito: PTV, propensity to vote.
La PTV viene misurata chiedendo all’intervistato quanto è probabile che in futuro possa votare per un partito su una scala da 0 a 10 – dove 0 significa “per niente probabile” e 10 significa “molto probabile”. Vengono testati tutti i principali partiti.
Si tratta di un indicatore utile per tre motivi.
Innanzitutto la PTV permette di intercettare gli orientamenti dell’intero campione, dal momento che la quasi totalità degli intervistati accetta di rispondere sulla PTV mentre non tutti rispondono al quesito sull’intenzione di voto.
In secondo luogo, la PTV consente di identificare – selezionando chi dà a un partito un punteggio particolarmente alto – il potenziale elettorale del partito. Un dato particolarmente utile in una fase di transizione come quella attuale.
In terzo luogo, la PTV permette di stimare quanto gli elettorati potenziali dei diversi partiti si sovrappongono tra di loro, ossia quanti elettori sono disponibili a votare per più di un partito. Da ciò si può desumere la configurazione dello spazio della competizione elettorale.[2]
Analizzando i dati sulle propensioni di voto degli italiani rilevate nella primavera del 2021, identifichiamo come elettori potenziali di un partito coloro che presentano una PTV pari o superiore a 6 (su una scala 0-10).
I risultati possono essere descritti mediante un diagramma – il cosiddetto diagramma di Venn – riportato nella Figura 1. La dimensione dei cerchi è una stima della ampiezza dell’elettorato potenziale di ciascun partito. Più grande è la porzione di elettori che ha assegnato una PTV di almeno 6 per un partito, più grande è la circonferenza del cerchio corrispondente.
Ai nostri fini, l’elemento più interessante è costituito dalle aree di sovrapposizione tra i cerchi, che rappresentano la quota di elettori potenziali “in comune” fra due o più partiti (ossia quegli elettori che esprimono una PTV pari o superiore a 6 per i partiti in questione).
Più è ampia l’area di sovrapposizione tra due cerchi, maggiore risulta essere la quota di elettori che i due partiti si contendono.
Vale la pena ribadire che non si tratta di una stima del voto, ma di una stima della propensione al voto e quindi di una stima del bacino potenziale di ciascun partito, vale a dire della sua attrattività.

Fig. 1 – Diagramma di Venn degli elettorati potenziali dei principali partiti italiani (PTV≥6), primavera 2021
Se si guarda al potenziale elettorale dei principali partiti italiani durante la primavera del 2021, si nota subito che Pd, Lega, FdI e M5s hanno potenziali elettorali molto simili, mentre molto più ristretto è quello di Forza Italia.
L’altro dato rilevante è la forte sovrapponibilità tra gli elettorati potenziali dei partiti del centrodestra, come si vede dalla ampia area di sovrapposizione tra i cerchi di Lega, FdI e Forza Italia.
In particolare, la quota di elettori potenziali in comune a Lega e FdI (ossia coloro che mostrano una PTV ≥6 per entrambi i partiti) è maggiore delle quote di elettori potenziali leghisti e “meloniani” che non prendono in seria considerazione la possibilità di votare entrambi i partiti.
Lo stesso discorso vale per Forza Italia, con la differenza che quest’ultima appare al centro delle intersezioni di tutti gli elettorati potenziali. Il partito di Silvio Berlusconi è dunque “vulnerabile”, in quanto si ritrova a competere non solo con i suoi alleati di centrodestra, ma anche in parte con il Pd e il M5s.
Lega e FdI mostrano invece una minore area di sovrapposizione elettorale col Pd, mentre l’area di sovrapposizione con il M5s è maggiore e simile a quella tra FI e il M5s. In quest’ultimo caso, a differenza di quanto mostrato da analisi del passato, tra i partiti del centrodestra non è più la Lega a mostrare una maggiore sovrapponibilità col M5s, ma FdI.
Questi dati ci permettono di fare alcune considerazioni sulle dinamiche di competizione tra i partiti italiani.
In primo luogo, la forte crescita elettorale di FdI registrata dai sondaggi sulle intenzioni di voto degli ultimi mesi è molto probabilmente avvenuta a spese dei suoi tradizionali alleati. In questo senso il calo registrato dalla Lega nei sondaggi si spiega con la forte competizione esercitata a destra dalla Meloni, che sta sfruttando anche il suo ruolo di unica (o quasi) opposizione al governo, cosa che le permette di far leva anche sul malessere di vasti strati della popolazione, in particolare quelli più colpiti dalle misure restrittive imposte dai due governi (Conte II e Draghi) per fronteggiare le ondate pandemiche. E tra le categorie più colpite ci sono senza dubbio i lavoratori autonomi, tradizionale bacino elettorale dei partiti del centrodestra. Inoltre, la Meloni può anche puntare ad attrarre una parte degli elettori pentastellati (e viceversa per la verità).
Al riguardo, altri dati della nostra indagine (qui non riportati per ragioni di sintesi) indicano che, tra i partiti attualmente al governo, il M5s è quello con gli elettori più critici verso il governo Draghi, mostrando giudizi simili a quelli degli elettori di FdI: questo potrebbe spiegare anche perché una quota di elettori italiani è disponibile a votare in futuro sia il M5s che FdI, partito di opposizione che utilizza al momento una retorica anti-establishment un tempo appannaggio del M5s. Il terzo partito del centrodestra, ossia Forza Italia, invece appare come quello più centrale nello spazio politico, ma anche come quello più vulnerabile perché soggetto a molteplici spinte competitive: quasi tutti i suoi elettori potenziali prendono in seria considerazione la possibilità di votare per un altro partito. Risulta quindi abbastanza evidente il motivo per cui Berlusconi ha lanciato l’idea del partito unico del centrodestra: perché effettivamente i tre elettorati sono molto più sovrapponibili di quanto non lo siano i rispettivi ceti politici (e militanti) e perché è a Berlusconi stesso che conviene di più, essendo Forza Italia il partito più vulnerabile dei tre (all’interno di un partito unico il Cavaliere aumenterebbe il suo potere di interdizione).
In secondo luogo (e di conseguenza), questi dati mostrano che i partiti del centrodestra occupano lo stesso spazio politico. Lo ripetiamo: si contendono gli stessi elettori. Il diagramma dà un messaggio molto chiaro su questo punto: gli elettori dei partiti di centrodestra sono disposti a trasferirsi dall’uno all’altro partito senza grossi problemi.
Al momento chi sta sfruttando questa maggiore disponibilità a muoversi all’interno dell’area di centrodestra è il partito della Meloni, ma in futuro non è detto che le cose non cambino: dipenderà molto dalle scelte strategiche dei vari leader, dall’offerta politica e dal cambiamento del contesto.
In terzo luogo, notiamo come al di fuori dell’area del centrodestra il quadro sia ben diverso. Sebbene esista una quota consistente di elettori disponibili a votare sia il M5s che il Pd, la maggior parte degli elettorati potenziali di Pd e M5s non sono comunque sovrapponibili. In altre parole, gli elettorati potenziali dei due partiti sono più distanti rispetto a quanto lo siano gli elettorati delle formazioni del centrodestra. Inoltre, il maggior partito del centrosinistra appare più isolato nello spazio politico.
È senz’altro vero che il Pd contende un certo numero di elettori al M5s e, in misura molto minore, al centrodestra (soprattutto Forza Italia). Tuttavia, la maggior parte degli elettori potenziali degli altri partiti non sono disponibili a votare per il Pd (e, specularmente, la maggior parte degli elettori potenziali del Pd non sono disponibili a votare per gli altri quattro partiti qui presi in esame).
Il M5s, invece, ha mantenuto (almeno in parte) la sua originaria trasversalità politica, mostrando di poter competere elettoralmente non solo col Pd, ma anche col centrodestra. Da una parte quindi il M5s appare più vulnerabile del Pd perché compete con più partiti per gli stessi segmenti di elettorato. Dall’altra parte, ciò significa anche che il M5s ha una maggior attrattività elettorale rispetto al Pd al di fuori del suo bacino di elettori “fedeli”.
Conclusioni
Questa analisi ha mostrato come l’idea lanciata da Berlusconi sul partito unico del centrodestra abbia già un certo riscontro in ciò che pensano gli elettori: esiste una vasta area di elettori disponibili a muoversi da un partito all’altro, pur rimanendo nel centrodestra. Inoltre, tra i tre partiti del centrodestra, Forza Italia è la formazione più piccola e vulnerabile alla competizione altrui, e potrebbe trarre beneficio dalla fusione con FdI e Lega. I vantaggi per quest’ultimi sono invece meno evidenti. FdI sembra infatti essere in grado di “rubare” direttamente i voti agli alleati: non a caso la Meloni ha già rifiutato l’invito a entrare in un partito unico.
Per la Lega la questione è più complessa: se da un lato l’unione con Forza Italia permetterebbe di mantenere il primato nel centrodestra e di contenere così l’”assalto” di FdI, dall’altro lato il partito unico con FI garantirebbe un significativo potere di veto a un soggetto politico con molti meno voti rispetto alla Lega.
Il rischio è anche che alcuni elettori “incerti” tra Lega e FdI optino per la proposta più radicale della Meloni in caso di fusione forza-leghista. Da qui nasce forse la proposta di lavorare alla costruzione di una federazione tra Lega e FI, piuttosto che un vero e proprio partito unico.
Sull’altro versante dello spettro politico, la comune esperienza di governo iniziata nel settembre 2019 sembra aver reso più compatibili rispetto al passato gli elettorati potenziali di Pd e M5s. Tuttavia, la sovrapponibilità è molto minore di quella riscontrata nel centrodestra.
Inoltre, il Pd appare come il partito da una parte con una maggiore quota di elettori “fedeli”, che non prendono in considerazione di votare altri partiti, ma dall’altra anche come il partito più isolato nello spazio di competizione politica. Quindi è vero che il Pd ha a disposizione un’area di riserva (uno “zoccolo duro”) che ne permette una certa resilienza anche in caso di avversità, ma è altrettanto vero che il partito di Letta mantiene una scarsa capacità attrattiva verso gli altri elettorati, specialmente quelli del blocco di centrodestra.
In questo senso, la persistenza di una latente dimensione sinistra-destra sembra ancora limitare fortemente i liberi movimenti di voto tra aree di opposto colore politico. Al riguardo, il M5s sembra aver conservato, almeno sul piano del potenziale elettorale, una funzione di camera di compensazione, ossia quella trasversalità politica che gli permette eventualmente di sfruttare le delusioni degli elettori degli altri partiti, magari quelli più critici nei confronti della classe politica.
Va comunque detto che questa trasversalità rende anche più vulnerabile il M5s, soprattutto in una fase in cui il suo bacino elettorale sembra essersi notevolmente ridotto rispetto al grande successo delle elezioni politiche del 2018.
I nostri dati sulle propensioni di voto consentono anche di fare alcune considerazioni sulla natura di un’ipotetica alleanza strategica tra Pd e M5s. Un’alleanza Pd-M5s sarebbe meno organica e meno basata sulla reciproca competizione di un’alleanza nel centrodestra. In questo senso, il dato della non completa sovrapponibilità degli elettorati (potenziali) di Pd e M5s è quindi in linea con i dati riportati dall’articolo de La Stampa di cui abbiamo dato conto all’inizio.
A differenza però di quanto riportato nell’articolo in questione, i nostri dati (che ricordiamo si basano sulle PTV e non sulle intenzioni di voto) non suffragano la visione ottimista dei dirigenti del Pd che il M5s non sia “un’idrovora capace di risucchiare milioni di suffragi al Pd”.
Quel che abbiamo mostrato è che il M5s mantiene la sua capacità di fare da trait d’union tra Pd e centrodestra, risultando ancora attrattivo per molti elettori di entrambi gli schieramenti, che magari non se la sentono di fare il “salto diretto” da un campo ideologico all’altro (ossia da sinistra a destra o viceversa).
I dati a nostra disposizione non possono anticipare la direzione di questi spostamenti di voto, ed è ovviamente possibile che in realtà sia il Pd a intercettare in futuro i voti degli elettori “incerti” tra il partito di Letta e il M5s. Tuttavia, la perifericità del Pd nello spazio di competizione elettorale suggerisce che i democratici faticano ad accaparrarsi voti provenienti dagli altri partiti. In questo senso, la scelta del Pd di puntare su una legge elettorale di impianto proporzionale sembra quasi una scelta “difensiva”, orientata più a consolidare la propria area di consenso che a sottrarre voti agli altri partiti (a cominciare dal M5s).
Rispetto alle alternative in campo, un sistema proporzionale garantirebbe al Pd di (ri)ottenere voti dal proprio zoccolo duro (quegli elettori indisponibili a votare altri partiti) e darebbe ai democratici pochi incentivi a provare ad espandere il proprio bacino di consensi. Sulla base degli orientamenti di voto attuali degli italiani, un proporzionale permetterebbe al Pd di sopravvivere e “perdere bene”, non certo di provare a vincere le elezioni.
[1] La Stampa 2 luglio 2021, articolo a firma di Carlo Bertini “Gli elettorati Pd-5S non sono sovrapposti. Studio riservato, Letta rassicurato a metà”.
[2] La configurazione dello spazio della competizione elettorale qui riportata non è completa, perché nel questionario non abbiamo chiesto le PTV per tutti i partiti, ma solo per quelli maggiori (Lega, Pd, FdI, M5s, Forza Italia). Tuttavia, va ricordato che i cinque partiti analizzati sono uno specchio fortemente rappresentativo dell’elettorato italiano dal momento che alle ultime elezioni politiche del 2018 hanno raccolto l’87% dei voti validi.
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