Di Maria Paula Caro Rojas, Mariapia Cerri, Alessandra Dondi e Cristiano Zanin
Corso di “Metodologia della ricerca sociale e valutativa”, Scienze Sociali per la Globalizzazione (GLO), 2021-2022, Università degli Studi di Milano.
Professori: Ferruccio Biolcati Rinaldi e Elena Bastianelli
Introduzione
Negli ultimi anni la crescita dell’immigrazione, favorita dalla globalizzazione e dalla crescente facilità dei collegamenti tra le nazioni, è stata considerata una minaccia per la sovranità degli stati e per i concetti di cittadinanza e di identità nazionale.
Non tutti i Paesi hanno però affrontato il problema nella stessa maniera: spesso si sono utilizzate narrazioni diverse in virtù della percezione e delle politiche migratorie implementate nei diversi contesti.
La seguente ricerca ha l’obiettivo di fornire nuovi punti di vista per analizzare e interpretare questa tematica.
Teoria ed ipotesi: la contact theory
La “contact theory” rappresenta la base della nostra ricerca; essa sostiene che, quando le persone hanno maggiori contatti diretti con gli immigrati, i pregiudizi nei loro confronti sono minori. Laddove invece i contatti diretti sono pochi oppure mediati da TV, social, radio, etc., le persone tendono ad avere maggiori pregiudizi nei loro confronti.
«The contact theory claims that as the outgroup grows, the opportunities for majority group members to have positive interactions with immigrants increase, reducing prejudice and stereotypes» (Wagner et al., 2006).
Secondo questa teoria, dunque, possiamo aspettarci che nei Paesi storicamente mete di immigrazione in cui i contatti con gli immigrati sono maggiori, le opinioni nei loro confronti siano generalmente più favorevoli rispetto a quelle nei Paesi diventati zone di transito e mete dell’immigrazione solo da pochi decenni.
Dati e variabili
Per la nostra analisi abbiamo utilizzato il dataset European Values Study (EVS) 2017. La nostra variabile dipendente è di tipo ordinale (suddivisa in 10 modalità) e indica quanto le persone percepiscano gli immigrati come una minaccia. Nel questionario EVS viene rilevata tramite l’interrogativo “Quanto sei d’accordo con l’affermazione “gli immigrati portano via il lavoro alle persone di una determinata nazione?”. La nostra variabile indipendente principale è il Paese di residenza: Francia e Germania in quanto Paesi di immigrazione storica (PIS), Italia e Spagna come Paesi di immigrazione recente (PIR).
Siccome vogliamo verificare che la relazione non sia influenzata da altri fattori, abbiamo scelto di utilizzare come variabili di controllo l’età, l’istruzione e la condizione lavorativa.
Dal grafico sottostante si nota che nei Paesi di immigrazione storica le persone tendono ad essere in disaccordo con l’idea che gli immigrati rubino il lavoro ai cittadini, mentre nei Paesi di nuova immigrazione le persone si distribuiscono più equamente nelle modalità più estreme (1: completamente d’accordo; 10: completamente in disaccordo).

Grafico 1: risposte alla domanda: “gli immigrati portano via il lavoro alle persone di una determinata nazione?” confronto Paesi di immigrazione storica (PIS) vs Paesi di immigrazione recente (PIR)
Analisi bivariata- tavole di contingenza
Per effettuare le analisi tramite tavole di contingenza abbiamo ricodificato la variabile dipendente in tre categorie, invertendo la polarità semantica: “disaccordo” (chi è contrario all’idea che gli immigrati portino via il lavoro), “neutro” (chi non ha una precisa idea al riguardo) e “d’accordo” (chi è in sintonia con l’affermazione).
Svolgendo l’analisi bivariata notiamo che in relazione all’età, il disaccordo (maggiore nei Paesi di immigrazione storica) diminuisce all’aumentare degli anni, soprattutto nei Paesi di immigrazione recente (tabella 1).

Tabella 1: percezione immigrazione ed età
Tenendo conto solo dell’influenza dell’istruzione, è possibile notare che chi ha un titolo di studio modesto e vive in un Paese di immigrazione storica tende ad essere maggiormente in disaccordo con l’affermazione rispetto a chi ha una bassa istruzione e vive in un Paese di immigrazione recente. È interessante osservare che chi è maggiormente istruito tende ad essere in disaccordo con l’affermazione, anche se ciò è particolarmente evidente soprattutto per chi vive nei Paesi di immigrazione storica (tabella 2).

Tabella 2: percezione immigrazione e istruzione
In riferimento alla condizione lavorativa, le persone che vivono nei Paesi di immigrazione recente e sono disoccupate tendono ad avere un’opinione peggiore rispetto a quella dei disoccupati dei Paesi di immigrazione storica. La stessa tendenza può essere rilevata anche tra gli occupati (tabella 3). In entrambi i cluster di Paesi si osserva una variazione di dieci punti percentuali tra occupati e disoccupati, ma il legame tra categoria del Paese d’origine e opinione sull’immigrazione rimane presente e significativo.

Tabella 3: percezione immigrati e condizione lavorativa
Da queste analisi emerge dunque che il disaccordo con l’affermazione che gli immigrati portano via il lavoro ai cittadini nazionali è sempre maggiore nei Paesi di immigrazione storica rispetto a quelli di immigrazione recente. Ciò accade anche quando alla relazione originaria si aggiungono le variabili di controllo.
Conclusioni
Dalle analisi svolte si può osservare che la variabile Paese e le variabili età, istruzione e occupazione influenzano gli stereotipi nei confronti degli immigrati. Come emerso dalle tavole di contingenza, nei Paesi di immigrazione storica le persone tendono ad avere opinioni generalmente più favorevoli nei confronti degli immigrati (anche al netto delle variabili di controllo): questo risultato conferma l’ipotesi avanzata. Un ulteriore approfondimento di questa ricerca può essere utile per l’elaborazione di politiche volte all’integrazione degli immigrati e alla riduzione dei pregiudizi nei loro confronti.
Riferimenti bibliografici
Ambrosini M. (2006). Sociologia delle migrazioni. Bologna, Il Mulino, 2020
Wagner, U., Christ, O., Pettigrew, T. F., Stellmacher, J., & Wolf, C. (2006). Prejudice And Minority Proportion: Contact Instead of Threat Effects. Social Psychology Quarterly, 69(4), 380–390. https://doi.org/10.1177/019027250606900406
Foto di Metin Ozer su Unsplash